Capitolo Quattordici

Dopo la discriminazione sul fatto di essere figlio unico, di cui ho parlato nel capitolo precedente, un’altra discriminazione ha minato la mia vita scolastica: quella di essere un ateo non battezzato. La religione, come tutto quanto del resto, non è mai stata d’interessa in casa mia. Quando, all’inizio delle elementari, ho improvvisamente sentito della religione cattolica e tutto quello che ci gira intorno, ho subito pensato che fossero racconti di fantasia, come tanti altri. Mi trovavo stranito quando vedevo che la maggior parte delle persone ci credeva ciecamente, sorpassando a fari spenti la logica e la scienza. Ho studiato per anni le religioni, praticamente tutte, e comprendo il motivo per cui sono nate e perché ancora molte persone ci credono. Anche se c’è stato un periodo che invece ne ero intollerante e le detestavo, quello che ha coinciso con le elementati. Le maestre mi chiamavano bestiolina e invitavano gli altri bambini e le altre bambine a fare altrettanto, mi era vietato intrattenere conversazioni che trattavano fede e ateismo (non c’era bisogno di un divieto, nessuno mi parlava comunque se non per umiliarmi), facevano di tutto per farmi sentire sbagliato, sminuito ed un mostro senza anima che vagherà all’inferno (ci vago già da quando sono nato). Ho ricevuto anche delle botte per questo da parte di alcuni miei coetanei (una scusa come tante), ovviamente non sono stato tutelato. Come già detto negli scorsi capitoli: o la colpa era mia che provocavo (visto che secondo loro nessuno mi picchia se non sono stato io il primo a istigare), oppure avevano ragione a farlo e per evitare dovevo adeguarmi e farmi battezzare.

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