Capitolo Ottantatré

Il bullismo che ho subito è stato tanto e pesante. Le persone che avrebbero dovuto tutelarmi se ne disinteressavano completamente, se non quando, addirittura me ne davano la colpa:

“Se ti ha picchiato si vede che hai detto o fatto qualcosa, altrimenti nessuno si sogna di metterti le mani addosso per niente”

“Possibile che quando c’è qualcosa di brutto ci sei sempre di mezzo tu? Questo cosa vuol dire? Che sei tu la causa”

Queste frasi me le sentivo dire dalle maestre e dai professori a scuola, dagli allenatori al campetto del paese, o a casa da una persona della famiglia a cui ero stato affidato. Il risultato di ciò è stato sempre subire tutto passivamente. Quando cercavo di ragionare a parole erano botte, quando cercavo di ignorare gli insulti e le umiliazioni erano botte (perché chi ero io per ignorarli/ignorarle?), se rispondevo erano botte (perché chi sono ero per osare ribattere?). Quando le prendevo e cercavo di difendermi ed allontanarli, la loro foga su di me aumentava, quindi cercavo di rimanere immobile sperando che il tutto finisse il prima possibile. La cosa che emotivamente mi faceva più male era che spesso si formava una specie di cerchio, dove incitavano all’odio e alla violenza. È quasi superfluo dire che nessuno interveniva in mia difesa. Ho smesso anche di chiedere giustizia e tutela, perché ero stanco di dovermi sempre giustificare ed ero stanco di vedermela sempre negare. E chi mi faceva del male, fisico ed emotivo, sapeva bene che l’avrebbe fatta franca.

Ho iniziato a non uscire più di casa, per non essere picchiato ed umiliato, e mi inventavo spesso malori per non andare a scuola o agli allenamenti. Quando non riuscivo a fingere bene, questa familiare a cui ero stato affidato, mi scimmiottava anche a ore o giorni di distanza, facendomi il verso proprio davanti ai miei coetanei e alle mie coetanee che non avevano nemmeno bisogno di un pretesto per umiliarmi.

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