Capitolo Trecentodiciannove

All’epoca di elementari e medie mi obbligavano a passare l’estate al centro estivo comunale, che in pratica era peggio della scuola e della squadretta messe insieme. Ma non mi potevo rifiutare di andare. Avrei gioito nel passare tutta l’estate chiuso in casa da solo, ma, anche nei periodi in cui c’erano i miei genitori, quei parenti avevano fatto pressioni perché io fossi iscritto. “Dovevo socializzare, se non ci riuscivo la colpa era soltanto mia perché avevo un carattere di m…a e dovevo imparare a stare al mondo”. In effetti le uniche cose che ho imparato sulla socializzazione è che faceva schifo essere letteralmente torturato dalle 9:00 alle 16:30, subendo il victim blaming se lo dicevo a casa a quei parenti. Purtroppo questa tortura iniziò già all’ultimo anno d’asilo, fino alla seconda media. I due anni peggiori furono quando mi iscrissero alla sessione marittima, il che significava due settimane senza la possibilità di tornare a casa, dove venivo pestato, tormentato, minacciato ed umiliato anche di notte. Non potevo nemmeno andare in bagno senza essere bersaglio di cattiverie e pestaggi. Ogni singola volta che provavo ad andarci. Ad un certo punto mi feci ricoverare una settimana in infermeria soltanto per evitare tutto questo (e anche per andare in bagno).

Ancora mi domando, ma com’è possibile che ovunque andassi, senza che facessi niente, e soprattutto niente di male, mi ritrovavo il bersaglio di chiunque? Ero considerato “strano” a causa della mia neurodivergenza, col mio modo di parlare bizzarro e “a pezzi” per via del cluttering, delle mie difficoltà a sostenere lo sguardo, della mia voce nasale e stridula, del mio fisico sempre imperfetto, del fatto che non capissi al volo cosa mi venisse detto o cosa si dovesse fare, dei miei tic nervosi (che cercavo di nascondere il più possibile) e tante altre “stranezze”. Avevo imparato presto che dovevo farmi notare il meno possibile e non parlare con nessuno, ma nemmeno questo è risultato molto efficace.

Nei periodi in cui ero vicino a casa, non vedevo l’ora che arrivasse l’orario di chiusura per rinchiudermi in camera a strafogarmi di merendine confezionate, latte al cioccolato. Al mare, durante il giorno, cercavo di nascondermi il più possibile per non farmi trovare. In entrambi i casi la sorveglianza delle persone adulte era totalmente inesistente. Una volta fui picchiato da un sorvegliante perché non avevo capito di essere in un’area non permessa ai bambini.

Per questi motivi (e altri che ho già trattato) ho sempre creduto che l’amicizia, la lealtà, la compassione, il rispetto fossero concetti che non potevano esistere nella realtà. Le consideravo cose bellissime, ma solo espedienti narrativi per libri e film d’animazione. Non potevano esistere nella vita reale.

2 pensieri riguardo “Capitolo Trecentodiciannove

  1. Più che altro non ho mai capito perché forzare in maniera così un bambino. Si ottiene l’effetto contrario ed è inutile tentare di socializzare se i compagni ti prendono di mira. La cosa brutta è che ci sarebbe dovuto essere qualcuno a dire a questi ragazzi che quel che facevano era sbagliato e fargli capire di non prendersela con chi era diverso.

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