Capitolo Ventotto

Ho realizzato che il capitolo di ieri potrebbe risultare molto pesante da leggere. Eppure per me non è stato così difficile scrivero, o almeno non come il venticinque. Per il semplice fatto che per me, per molti anni, quella routine risultava sì triste (e non mi piaceva), ma normale. In pratica ho passato anni in isolamento sociale (molto prima che fosse la moda del 2020). Rimanevo in casa il più possibile, rintanato nella mia stanzetta e spesso sotto la scrivania, barricata a dovere con cuscini e lenzuola, a leggere qualsiasi cosa che mi capitasse sottomano, sia che fosse un breve racconto per bambini, che le istruzioni per montare un impianto idrico in una serra. La mia passione preferita era leggere l’atlante. Ho sempre avuto una passione per la geografia e l’astronomia. Purtroppo a scuola, la mia insegnante delle elementari, faceva di tutto per mettermi in soggezione e, anche quando rispondevo correttamente, trovava sempre un modo per negarmi (posso citare due episodi, in uno ho risposto con una cosa che ho studiato per conto mio e non era nel programma e mi ha dato un brutto voto perché non era previsto, la volta dopo ha chiesto una cosa che non avevamo studiato ma che io sapevo, ma non ho risposto per paura, ma anche in quel caso ho preso un brutto voto perché non mi sforzavo di approfondire). Tornando all’isolamento, quando uscivo, a scuola, alla squadretta di calcio del paese e all’oratorio, ero completamente isoltato. Le mie uniche interazioni con gli altri era quando mi pestavano o mi insultavano. Per il resto ero completamente all’oscuro di cosa facessero o discutessero i miei coetanei e le mie coetanee. Ogni tanto cercavo di spiare i loro comportamenti da lontano, ma non era la stessa cosa. Potevo solo intuire e immaginare. Questa mancanza di allenamento sociale immagino che abbia di sicuro influenzato tutti i miei fallimenti interpersonali accorsi in adolescenza e in età adulta. Cose normali per chiunque, come mangiare una pizza in compagnia, sono state per anni un mistero per me. La mia prima pizza l’ho mangiata a ventotto anni, con quella despota della “fidanzata”. Saremo usciti una decina di volte per quella pizza e ogni esperienza è sempre stata peggiore della precedente.

Un pensiero riguardo “Capitolo Ventotto

Lascia un commento