Capitolo Cinquecentocinquantuno

Questo è la continuazione del capitolo 549. La vittima viene stereotipata secondo alcuni canoni, dove anche l’età ed il comportamento tenuto, giocano un ruolo fondamentale tra l’essere giudicata vittima e dar loro la colpa per ciò che è accaduto.

E l’abusante? Anche chi abusa ricalca diversi stereotipi (capitolo 450). E anche chi abusa può ritrovarsi a passare dal ruolo di carnefice a quello di vittima in balia degli eventi. Il tutto sempre secondo gli stessi canoni che colpevolizzano la vittima.

Ovviamente non è mai colpa della vittima. Mai. È chi stupra che non avrebbe mai dovuto farlo. Non importano le condizioni, com’era vestita la vittima, come si atteggiava, o se aveva assunto qualcosa che aveva alterato la coscienza.

Il tutto si può ricondurre ad una cultura dello stupro che inizia in giovanissima età (capitolo 79), dove già si insegna ai bambini e alle bambine ad annullarsi e ad annullare ciò che provano (capitolo 521). Dove i loro confini non esistono, dove non va bene mettere paletti e dove si insegna ad abbattere quei paletti delle altre persone che non condividono, o che insegnano a non condividerli e rispettarli, perché non vanno bene secondo certe norme stabilite (da chissà chi e accettate chissà perché).

Quindi, chi è l’abusante, se non il prodotto di questa società? Ovviamente non tutte le persone cresciute in questa società diventano sex offender, ma ciò non significa che non possano diventare abusanti in contesti diversi.

E la responsabilità è di tutti noi e tutte noi. Se abbiamo i mezzi per farlo, cosa facciamo affinché tutto ciò non accada?

Questa non vuole essere una colpevolizzazione per chi non riesce, o non se la sente, a reagire alle ingiustizie, alla violenza, agli abusi. Vorrei solo fornire una riflessione interiore su come siamo, come reagiamo e se abbiamo fatto abbastanza, o se non potevamo fare diversamente, o se è anche fin troppo ciò che abbiamo fatto. Perché abbiamo il diritto ad essere deboli (capitolo 303) e a non fare niente senza sentirci in colpa.

Quindi, l’abusante è un mostro, ma è anche un prodotto di questa società. Sbattere persone in carceri sovraffollati, dove vige la violenza (non solo da parte delle altre persone detenute), non risolve il problema. Se si arriva alla condanna, è già una sconfitta. Ovviamente chi ha commesso tali atrocità deve essere messo in condizione di non farlo più, rieducato (sul serio), o educato per la prima volta (capitolo 265). Ma c’è una linea sottilissima tra giustizia e vendetta. Una linea che passa dallo sfogo, spesso di rabbia repressa e indiretta, che si manifesta candidamente con la scusa di essere dalla parte della ragione. Perché, per come sono le carceri, non c’è nessun modo che possano essere efficaci, ma rendono ancora più violente e frustrate le persone che vi sono rinchiuse. Una volta uscite, poi, queste persone dovranno combattere contro l’additamento, la stigmatizzazione e le violenze sociali, aumentando ancora di più il loro senso di frustrazione. C’è la distorta idea che se una persona è criminale, lo rimarrà per sempre, non importa quanto si impegni. Ciò non può portare altro che a ricadere negli stessi comportamenti che hanno fatto sì che la persona abbia sbagliato. C’è qualcosa di straordinariamente contorto in tutto questo ciclo, che bisogna interrompere, visto che è palese che non possa essere la soluzione, ma solo una risposta populista che distoglie l’attenzione. È la via più veloce, semplice, ma sbagliata. Aggredire le radici dei problemi sociali che causano tutto ciò è difficile, impegnativo e lungo, e probabilmente non lineare, ma potrebbe essere la soluzione migliore affinché non si ripetano certi crimini. E meno crimini significano meno persone che soffrono per le conseguenze, meno vittime, meno dolore e più fiducia nel mondo.

Bisognerebbe lavorare con la cultura, il dialogo, il confronto, affinché ad una persona non venga nemmeno l’idea di poter fare del male. Parlo di sex offender, ma anche di qualsiasi altro reato. Bisogna capire perché queste persone abbiano fatto del male. Bisognerebbe comprendere, intervenendo a sradicare le radici dei problemi sociali che causano questi comportamenti.

Sono consapevole che ci vorranno anni, decenni, secoli, e che forse è utopistico. Soprattutto anche perché ogni persona ha il proprio senso del bene e del male. Ma lavorare fin da oggi affinché nessuna persona debba temere per l’incolumità della propria anima e che possa sentirsi al sicuro, è un obiettivo che penso dovrebbe essere universale.

Come ho scritto nel capitolo 266, non nutro buona considerazione verso le persone che hanno abusato del mio corpicino e della mia anima. E combatto col pensiero di non riuscire a perdonare (argomento che riprenderò in un futuro capitolo). Ma non sopporterei l’idea che vengano commesse ingiustizie e abusi, anche verso persone che si sono comportate così mostruosamente. Due torti non si annullano a vicenda, si sommano.

La violenza, verbale, fisica, sociale, e la vendetta, non sono le soluzioni. Se la violenza è il problema, non ci vuole tanto a capire che non può essere anche la soluzione. L’amore, il rispetto e la cultura, sono le uniche vie per un futuro migliore. E bisogna agire prima che tutto questo accada.

Vorrei lasciarvi con una citazione che mi ha colpito, che sintetizza tutto questo. Forse non si adatta a ciò che ho scritto, ma sentivo il bisogno di condividerla:

[…] questa è la verità, questa è la prova definitiva, l’essere umano è un animale atroce, una bestia senza compassione. Quello che avete appena sentito è il prodotto di tante cose. Potere, certo, ma anche ambizione, denaro, vittoria, sopraffazione. […] vorrei però sottolineare questo, quando fra poco andrete a dormire, provate a farvi delle domande. Come vi comportate con gli altri nella vita di tutti i giorni? Quali sono le vostre reazioni se doveste fare del male a qualcuno? Come reagireste se lo facessero a voi? Siete certi di non provocare, anche inconsapevolmente, del male a qualcuno? Perché, ricordate, l’essere umano è anche questo, è anche male, oscurità, aberrazione. Forse… eh… sì, forse non siete voi. Ma forse lo sono i vostri amici, i vostri conoscenti, persino quelli che credete di conoscere meglio. Dentro ognuno di noi c’è del buio e quella che chiamano umanità non è altro che la capacità di tenerlo sotto controllo.”.

Con questo capitolo non voglio in alcun modo assolvere pedofili e pedofile dalle loro colpe. Sono direttamente responsabili di tutto il dolore che provocano. Ho voluto solo analizzare tutto il contesto che porta a questo ciclo di violenze, per quanto le mie difficoltà cognitive abbiano potuto permettermi di farlo.

15 pensieri riguardo “Capitolo Cinquecentocinquantuno

  1. Sarebbe davvero molto bello se si potesse trovare una valida alternativa. Penso sempre alle mie azioni, a quello che ho fatto, a quello che vorrei fare e a quanto non vorrei mai. L’essere umano è davvero molto complicato e pieno di contraddizioni.

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      1. il film è delicato, non ci sono scene cruente, la trama è tratta da una storia vera e narra agente che a parte l’arrestare uomini vuole poter liberare i piccoli. Ci riesce.
        Iniziativa personale e lieto fine.
        Come dicevi, è l’argomento a poter essere forte.
        Lieto fine

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  2. Hai fatto un argomentazione molto profonda e interessante su come si creano gli stereotipi e come molte cose siano prodotti della società. Perché il problema è anche quello della società che preferisce annullare i bambini e in generale le persone per non dover pensare a certi problemi. Solo che poi i problemi crescono fino a esplodere. Non dico che se la società fosse più presente e sensibile si risolverebbe ogni cosa, ma sicuramente aiuterebbe molto di più.

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